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  • Data di pubblicazione

    14 Novembre 2009

  • Durata

    10 brani

Maurizio Brunod (electric, acoustic & classic guitars; live sampling).

1) Tango tangues; 2) Northern lights; 3) Ballad for Pat; 4) Snow in Langa; 5) Lara’s dance;
6) Allevi’s dream; 7) Waltz for Joe; 8) A song not to happy; 9) Blue in green; 10) Didime.

Conserva un’aria da ragazzo, Maurizio Brunod, ma il mero dato cronologico ci racconta che sono passati oltre vent’anni dagli esordi discografici, e qualcuno di più, naturalmente, da quando ha cominciato ad imbracciare la sei corde. Il quartetto “Enter Eller” e la band di Claudio Lodati “D’accorda”, sono i gruppi con cui ha messo in luce doti non comuni: ad esempio ricercare una via che mettesse assieme la ricerca del miglior art–rock (quello del tardo “progressive”, che lambiva le inquietudini del “rock in opposition”, senza abdicare al vacuo gigantismo spettacolare), con quella del jazz d’avanguardia.

Adesso, mentre sono appena usciti un disco in quartetto con Alexander Balanescu, Claudio Cojaniz e Massimo Barbiero («Marmaduke») ed un altro in quintetto con Bjorn Alterhaug, Ivar Antonsen, Paolo Vinaccia e John Surman («Svartisen»), entrambi per la Splasc(h), arriva una riposante pausa di riflessione con un album (il quarto della carriera) per chitarra sola. Da non prendersi alla lettera, naturalmente: perché Brunod ama giocare con le sovraincisioni, e dove ritiene di “doppiare” il suo tocco limpido sulle corde acustiche con gentili sferzate elettriche, una specie di ponte tra il miglior Pat Metheny e ricordi ben assimilati di David Gilmour e Steve Hackett, lo fa senza timori reverenziali che il tutto suoni come “poco jazz” o che sia comunque difficilmente etichettabile. Ci sono tango, valzer, ballad liriche e sognanti, riprese di celebri standard jazzistici come Blue in green e A song not to happy: chitarra elettrica ed acustica si alternano con piacevole fluidità e l’elettronica – quando appare – è pertinente e misurata.

Non c’è niente di cui rimproverarsi insomma per questo disco in solitudine, che appare piuttosto solo una tappa di un percorso musicale lungo e brillante, di cui poter andar certamente fieri. Maurizio Brunod appartiene ad una generazione di quarantenni che, pur con indiscutibile e solido retroterra jazzistico, si diverte a giocare – e molto bene – con le tante musiche possibili. Una nutrito gruppo di musicisti che merita tutta la nostra attenzione e da cui stanno arrivando importanti indicazioni per il futuro del jazz.

Riguardo al disco in questione poi, il suo autore non sembra avere proprio dubbi, poiché dichiara, perentoriamente, nelle note di copertina: “… «Northern Lights» è senza dubbio il più raffinato e maturo disco di chirarra–solo che abbia mai inciso…”.

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